Ricordando Laura
In una ancora calda serata di fine agosto ci hai lasciati. Il cerchio della tua vita si è naturalmente chiuso, ma non concluso, perché grande è l’eredità che hai lasciato a tutte noi: ci hai insegnato la forza autogenerante della carità, donando amore, hai generato amore, affetto, attenzione in una catena continua, riversandolo tutto ai più bisognosi che molto spesso bussano alla nostra porta. Per omaggiarti, le parole sono state già declinate tutte, e a noi, colleghe e amiche del centro di ascolto non rimane altro che affidare a queste poche righe i teneri ricordi che a poco a poco affiorano alla nostra mente. Ti ricordiamo sempre pronta a scendere in campo in ogni circostanza, infaticabile e sorridente, tenace e caparbia, ma sempre caritatevole, come quando in pieno inverno, armata dei tuoi guantini e della tua eterna borsetta a tracolla ti spendevi per la raccolta alimentare; ti ricordiamo presente alla varie pesche di beneficienza, sempre in prima linea, pronta a sfoderare la tua inesauribile capacità di persuasione. E ancora eccoti pronta per la distribuzione dei viveri, in piena emergenza sanitaria, mai stanca, senza dimenticare l’oculatezza con cui sfogliavi i volantini dei supermercati alla ricerca del miglior prezzo e della maggiore quantità, sempre per favorire i più svantaggiati che sentivi come una famiglia, forse un po’ raffazzonata, un po’ furbetta e a volte di difficile gestione, ma pur sempre famiglia e come tale da amare senza eccezioni.
Ci torna in mente la tua simpatica presenza ai pranzi dell’amicizia offerti dalla parrocchia, sempre soddisfatta di poter condividere pasti, amicizia e sorrisi con gli altri e sempre pronta a chiedere “altro sale, per favore!”… Ricordiamo quando a fronte ai nostri “Laura riposati!” “Laura risparmiati”, la tua disarmante risposta, come i tuoi occhi, era sempre la stessa: “No, non sono stanca, mi fa piacere. E poi, è la mia vita!”
Questa era la nostra Laura. Ciao, cara amica, ti affidiamo alla misericordia di Dio.
Mariella
Ottavio ci ha lasciato
Domenica 14 luglio. Un risveglio all’insegna della malinconia: arriva presto il messaggino di Don Gianfranco. “Cari amici, stanotte, dopo un lieve malore, ricoverato in ospedale, ci ha lasciato il carissimo Ottavio. È spirato nell’arco di due ore. Morte degna della persona che è stata. Dongia”.
Quanti pensieri, quanti ricordi per tanti di noi. C’è chi lo conosceva dai tempi di Don Giuseppe, chi l’ha frequentato nel gruppo delle famiglie quando partecipava con la moglie Ermelinda, chi lo considerava una parte essenziale della vita in parrocchia… Dai tanti commenti sui social, alle testimonianze in chiesa, ai funerali, ai ricordi per strada con chi si incontrava… la notizia della morte di Ottavio è stata sentita con commozione, con affetto, con nostalgia da tanti e tanti di noi.
Sì, in tanti, e il ricordo di lui, del suo sorriso, dei suoi gesti, è stato sottolineato in tanti modi:
- Indimenticabile…
- R.I.P. Ottavio Grande uomo
- Ciao Ottavio, resterai sempre nei nostri ricordi
- Un gran signore! Grazie di tutto!
- Fanno festa in Cielo, suonano le campane a distesa, san Pietro ora sa a chi affidare le chiavi del Paradiso: è arrivato Ottavio una persona speciale… gli va incontro una bella signora alta, longilinea ed elegantissima in tailleur color pastello, Ermelinda! Ciao Ottavio, che Dio ti benedica!
- Onore a Ottavio, un altro pezzo di storia del quartiere che se ne va….. R. I. P.
- Che dispiacere! È stato il nonno di tutto il quartiere! Rip
- Caro Ottavio si aprano le porte del paradiso a te che tante volte hai aperto le porte della nostra Chiesa con il sorriso
E tante altre piccole e grandi testimonianze, ma più di tutto tutti coloro che hanno partecipato al funerale hanno sentito che quello che si diceva è stato detto col cuore, prima di tutti da Don Gianfranco, che ha più volte ricordato lo stile di vita di Ottavio, sempre sobrio ed elegante, l’educazione, il senso della famiglia, l’allegria e la fiducia che trasmetteva, il rapporto buono con tutti i gruppi parrocchiali e con i sacerdoti e soprattutto la sua fede.
Ce lo ricorderà anche una bella iniziativa, perchè tutto ciò che è stato raccolto nella questua, le offerte della famiglia e di tanti che vogliono contribuire con un segno tangibile in suo ricordo, sarà destinato al restauro del campo di calcio che sarà intitolato a suo nome!
Una iniziativa nata un po' per caso...
Lunedì 10 giugno 2024. Forzando abitudini e ritmi consueti di lavoro, con mia moglie Annacarla ci siamo “imposti” di uscire dallo studio molto prima del solito orario. La chat parrocchiale del “Gruppo Famiglia” proponeva una visita di gruppo nella Chiesa di San Marcello al Corso, alla mostra del CRISTO DI SAN GIOVANNI DELLA CROCE di Salvator Dalì, esposto eccezionalmente e per la prima volta insieme al disegno-reliquia di San Giovanni della Croce, che lo ha ispirato. Il Cristo di Dalì mi aveva sempre affascinato fin dall’epoca della scuola: l’innovativa prospettiva e la statuaria bellezza del Cristo, il mirabile gioco della luce e il forte contrasto con le oscure tenebre mi hanno da sempre fortemente emozionato. La possibilità di vedere il quadro, generalmente conservato a Glasgow, addirittura con il disegno che lo aveva ispirato e di poterlo fare proprio qui, a Roma, era un’occasione cui non potevo certo mancare! Trafelati per l’inesorabile ritardo dei mezzi pubblici, siamo arrivati, attesi da Don Gianfranco e dal resto del gruppo, tutti già pronti all’entrata della Chiesa. Là abbiamo ritrovato molti amici e altre persone che, seppur non personalmente conosciute, abbiamo però subito riconosciuto come membri della nostra comunità parrocchiale. Una volta compattato il gruppo ed entrati in Chiesa, siamo stati subito accolti dalla sublime ed emozionante visione dell’opera di Dalì. Con gli occhi abbacinati da questa bellissima e al contempo struggente immagine di sofferenza, insieme dolorosa ma anche carica di un’immensa forza positiva e rasserenante, abbiamo ascoltato la sommessa voce di Titti che ha condiviso con noi la sua conoscenza dell’opera, guidandoci nella comprensione di questa magnifica immagine. Dopo aver ascoltato Titti, molti di noi – e a dire il vero anche qualche esterno, incuriosito e assetato di conoscenza, che si è aggiunto al nostro gruppo – hanno condiviso le emozioni che la vista dell’opera produceva. Da fuori apparivamo come una compatta commissione di studio, concentrata sulle più profonde speculazioni e sui reconditi significati che l’inconsueta immagine del Cristo sollevava. Sì, il Cristo di Dalì è proprio un’immagine inconsueta: il Crocefisso si presenta con un punto di vista assolutamente innovativo; non è frontale come la tradizione insegna, ma è visto come se fossimo al di sopra della terra e al disopra del Crocefisso stesso, ora proiettato in cielo. Il volto di Gesù è rivolto verso la terra, redenta dal peccato e liberata dall’oscurità, proprio grazie al sacrifico di Gesù per noi. Il paesaggio terrestre, ispirato ad un porto spagnolo, è sereno, puro e incontaminato. La terra, mondata dal peccato è liberata dall’oscurità. In primo piano una barca e due figure umane isolate, che ci riportano ai pescatori di Cafarnao. Sull’orizzonte, il profilo di un’isola che ricorda quello di Dalì. Non si vedono i simboli tradizionali della passione, la corona di spine e i chiodi che lacerano le mani e i piedi del Signore. Gesù aderisce alla Croce con la forza dell’amore con cui l’ha accettata, per la nostra redenzione. Sebbene i muscoli delle spalle di Gesù siano tesi dalla sofferenza della morte, immagino il suo volto rivolto, non a chi contempla il quadro, bensì verso la terra dalla quale si sta elevando, sereno nell’amore e nella speranza che ripone negli uomini, per i quali ha sacrificato la propria vita e fiducioso nella forza del messaggio che con le sue parole ci ha lasciato. Inevitabile è il richiamo al Salmo 26: Il Tuo volto Signore io cerco. Non nascondermi il Tuo volto. Nella certezza che il Suo volto è rivolto costantemente verso di noi, sta il nostro impegno costante a cercarlo: per me questa è la forza del messaggio del Cristo di Dalì o almeno così mi piace pensarlo.
Con il cuore rasserenato da questa mirabile opera e guidati da Don Gianfranco per un momento di preghiera e di raccoglimento ci siamo poi radunati vicino al Crocefisso qui custodito, proprio quel Crocefisso ai cui piedi – in una vuota Piazza San Pietro nei giorni più cupi della pandemia – Papa Francesco pregò per tutti noi. La serata si è infine conclusa piacevolmente in pizzeria, nei pressi del ponte Vecchio, dopo un’edificante lezione tenuta sull’autobus da Don Gianfranco su San Giovanni della Croce e Santa Teresa di Avila. A conclusione della giornata, infatti, è stato bello ritrovarci intorno ad un tavolo, conoscendoci meglio e condividendo ricordi e momenti di vita parrocchiale e del quartiere. La giornata mi ha ulteriormente rafforzato nella mia già profonda convinzione di quanto la condivisone rappresenti un momento di crescita personale e di coesione in un gruppo, risolvendosi sempre in un’ineguagliabile esperienza. Il mio personale ringraziamento agli organizzatori della giornata: a Titti, preziosa guida, a Don Gianfranco instancabile aggregatore e a tutti coloro che vi hanno preso parte, condividendo e partecipando con reciprocità, nella comprensione del quadro, le loro emozioni.
Mario
Un anno pastorale in scadenza.... la festa di fine anno 7 - 8 - 9 Giugno
Domenica 9, più festa di così...
sette battesimi !!!
Il punto di vista del papà di una bimba battezzata
Da che ho memoria ho sempre amato il senso di comunità. Non ho mai creduto che ogni uomo sia un’isola né tantomeno che basti a se stesso. Il battesimo è il primo passo verso una comunità, la prima esperienza di socialità per una nuova vita. È impossibile, certo che lei lo ricordi, ma che ne abbia o meno memoria è questione di effimera importanza, di certo rimarrà impressa da qualche parte nella sua anima. Siamo noi genitori che porteremo per sempre con noi il suo volto sorpreso quando l’acqua le ha toccato la fronte e non era l’ora del bagnetto, la sua voce che, presa dalla voglia di uscire, e dall’innata attitudine alla comunicazione, esplodere fino a coprire quella di Don Gianfranco. E le risate poi… una serie interminabile e squillante, pulite e piene, chissà cosa nel mio volto in quel momento era diventato la cosa più divertente al mondo. Lei rideva, beata rideva, e io non riuscivo a dirle di fare silenzio. Ridevo con lei fino alle lacrime ed è stato bello pensare che il primo ingresso di mia figlia in una comunità sia stato immerso da acqua e risate, una parte fondamentale della vita di ogni uomo. Un manifesto di gioia, un inno alla vita che irrompe nel mondo.
Massimiliano
Sabato sera... chi più ne ha più ne metta!...
Il punto di vista di un papà
LA NOSTRA FESTA… UN SACCO BELLA
Vogliamo esagerare? E allora diciamolo: la nostra festa di quartiere è esattamente come Sanremo (sì sì, proprio il festival). Sai che arriverà, sai che la data è più o meno sempre quella, la aspetti, ogni tanto qualcuno a casa ne parla accennando a un conto alla rovescia. Ed è come Sanremo anche per i finti snob: quelli che puntualmente “ma figùrati se vengo alla festa di quartiere”, e poi sono tra i primi ad arrivare e tra gli ultimi ad andarsene.
Di sicuro c’è che è passata, anche quest’anno. Proprio come Sanremo: con i suoi pregi, i suoi difetti, la sua semplice e gradevole liturgia laica. Il palco, le giostre, gli stand, l’inossidabile punto-ristoro con la coda alle casse, la fisarmonica dei bigliettini da sgranare e la simpatica caciara all’interno, gli impagabili e infaticabili scout, gli aromi esotici della mitica cena eritrea del sabato, i vassoi in precario equilibrio tra mani e avambracci (col rischio sempre incombente della… cascata di birra).
Ma soprattutto c’è l’ingrediente-principe: sarà perché la festa arriva in un momento della stagione fatto apposta per rifiatare un po’, tra la fine della scuola e l’inizio ufficiale dell’estate, di fatto in questi due giorni si respira finalmente l’allegria rilassata dello stare insieme con qualche minuto a disposizione (addirittura qualche minuto!) per una chiacchiera, un sorriso, per qualcosa in più del solito “ciao” trafelato di tutta la stagione. Da settembre a maggio il copione lo conosciamo: sempre affannati, sempre di corsa, sempre in ritardo anche per dirlo bene, quel “ciao”. E invece, come per incanto, tanti vicini di casa o di pianerottolo o di isolato che per 8-9 mesi sono stati quasi sempre figurine impazzite e sfuggenti, finalmente per due giorni vanno piano, si fermano, sorridono rilassati: e noi con loro! Non solo: cambiando il contesto, anche qualche faccenda personale si sbriga meglio. Quando ti ricapita di avere a portata di mano in pochi metri l’idraulico di quartiere o il gommista di fiducia? Ed ecco che, tra un hamburger e una pizza fritta, anche questi due appuntamenti sono sistemati… Basterebbe già questo per benedirla, la festa di quartiere.
Ed eccoci al palco musicale, che solitamente non tradisce le attese. Alle prime note, nel tardo pomeriggio, l’uditorio sembra sempre distratto: gira un po’ al largo, tende l’orecchio distrattamente e dispensa qualche applauso di cortesia a cantanti e musicisti. Ma quando arriva la prima serata e il pubblico della festa è ormai vicino al pienone, ecco che le sedie bianche si riempiono, l’atmosfera si scalda e il repertorio diventa contagioso. Alzi la mano chi non ha partecipato ai cori del sabato sera che hanno celebrato degnamente la storia cinquantennale dei Ricchi e Poveri! Non si può barare, nessuno alza la mano, il coro era unanime.
E pazienza se il breve, puntuale black out tecnico colpisce in modo inesorabile il momento più succulento, cioè l’estrazione dei premi della lotteria. Un giallo in piena regola, alla Hitchcock: si parte dal 12esimo premio, si procede senza intoppi, i bambini estraggono i biglietti e le scout leggono i numeri vincenti… Ed ecco il misfatto: ultima estrazione, siamo al primo premio (una tv da 55 pollici più grande di un monolocale!), il biglietto viene pescato, la scout avvicina la bocca al microfono… e si spegne tutto!!! Nessun effetto speciale, luci e audio sono proprio svaniti. Un black out passeggero, per fortuna: qualche minuto e anche il rito dell’estrazione viene archiviato con successo.
Tutto bene, dunque? Ma dai, visto che ci siamo ispirati a Sanremo, suoniamo anche le… dolenti note: qui parla il capofamiglia di un nucleo standard (marito, moglie, figlia preadolescente, figlio ancora infante). Difficile sfuggire al salasso, il rincaro colpisce senza pietà anche gli hotdog e il tiro al bersaglio: ogni giocata, ogni pescata di paperelle costa ormai dai 5 euro in su (durata del gioco: 3-4 minuti, e poi siamo punto e a capo!). Una mezz’ora alla giostra-principe dei ragazzi – quella coi seggiolini che volano in orbita, modello razzo spaziale – vale non meno di 15-20 euro. E una bella vassoiata di panini, patatine, acqua e birra per 4-5 persone drena almeno altri 25-30 euro. Tirate le somme, se non si varca la soglia del “centone” speso in due giorni ci si va comunque pericolosamente vicini. L’alternativa? Andare alla festa “già mangiati” e fissare un budget rigorosissimo per gli svaghi. Ma mi sembra già di sentirli, i familiari a carico: “e allora che razza di festa è?”.
Gigi
Il punto di vista di una scout
Croce e delizia: fatica e comunità
Per noi scout un appuntamento fondamentale quello della Festa della Parrocchia, al termine della quale siamo così stanchi da non riuscire nemmeno a ricordare il nostro nome, ma così soddisfatti da sapere che ne è valsa la pena.
Ogni anno si ripete il rituale, gli impegni sono moltissimi e quest’anno nella settimana precedente la Festa sapevamo anche di non poter contare sul nostro punto di riferimento Marco Marzano che la gestisce da anni, perchè aveva programmato una meritata vacanza familiare, ma ce la siamo cavata lo stesso, perché è stato un buon maestro, incarnando perfettamente il principio scout del trapasso delle nozioni.
I preparativi fervono, tutti sono coinvolti, si stabiliscono i posti di azione e le responsabilità, ognuno dà il massimo delle proprie disponibilità di tempo, facendo lo slalom tra il lavoro, gli esami e la famiglia, ma non si può mancare!
Chissà se chi fa un giro di giostra, gusta il panino con la salsiccia e sorseggia la birra fresca, magari lamentandosi per aver fatto un po’ di fila, sa quanto sudore c’è dietro quei semplici gesti.
La Festa della Parrocchia non è solo fatica; è anche e soprattutto il momento per insegnare ai più grandi l’organizzazione ed ai più piccoli il valore della collaborazione e della responsabilità, perché anche l’ultimo arrivato ha un ruolo e svolge una sua parte fondamentale in questa grande giostra che segna per noi un momento di forte appartenenza alla nostra Parrocchia e al nostro quartiere.
Quel che resta alla fine di questi due giorni rutilanti fra giochi, panini, spettacoli e volontariato sono gli occhi alzati al cielo per un incarico che non piace, tanta immondizia da dividere per riciclare correttamente, tanta polvere e odore di fritto, montagne di attrezzature da lavare e riporre, ma sempre accompagnati dall’eco delle risate, dagli abbracci, dalle pacche sulle spalle e dalle battute fra amici.
E allora ben venga la fatica se ciò che ne deriva è una grande occasione educativa!
Lucia
.. e quello di chi è stato ore alla cassa
— Poca gente? Tranquilli, finisce la messa e staranno tutti qua.
— Venite anche da questa parte, le file sono due!
— No, questa salsiccia è tutta grasso, non posso mica mangiare una cosa così.
— Ma com’è il burrito?
— Nooo, un’altra volta un black out!
— Le patatine non ci sono per venti minuti! Dobbiamo cambiare il fornello!
— Ma le patatine ci sono! E mi avete detto che non c’erano!!!
— Un bicchiere di vino 1,50. Aiuto! Come facciamo a darle il resto di 50 euro? Non abbiamo proprio spicci.
— Vorrei una porzione di ceci. – ??? Non ci sono i ceci. Forse voleva i fagioli al curry? – No no, seicento ceci, c’è scritto: falafel.
— Ci dispiace, le dobbiamo dare sei euro di resto in monete da venti centesimi.
— Finiti gli hamburger!
— Finita pizza fritta!
— Finite le crepes!
— L’acqua è finita, è rimasta solo quella della fontanella.
Ecco, anche quest’anno è arrivato il momento tanto atteso della festa della parrocchia Gesù Bambino a Sacco Pastore è del quartiere.
Quanti volti conosciuti e familiari, quanti incontri, quante persone riviste magari dopo mesi! Eravamo proprio in tanti, da zero anni in su: chi da una e chi dall’altra parte della barricata dei computer della cassa (e meno male che da dietro gli schermi non si vedeva quanto lunga e grossa era la fila!); chi in mezzo alle nuvole di fumo, nel caldo dei pentoloni e delle friggitrici a servire le specialità gastronomiche preparate dagli scout e chi, dall’altra parte del banco, con un pugno di ticket, cercando di capire che cosa dovrà mangiare; chi a fare l’interminabile fila per un altro giro di giostra (“questo è proprio l’ultimo, l’ultimissimo, lo giuro”), o lanciarsi sul trampolino; chi stava sul palco e chi sotto ad ascoltare e ballare. Chi è venuto ad assaggiare la cucina eritrea (tranquilli, quella dell’Amanida è meno piccante dell’”originale”) e i dolci dei ragazzi dell’oratorio (buoooni!); chi a capire la situazione immobiliare del quartiere, chi a conoscere il mondo dello scoutismo Agesci.
Ma prima di tutto siamo stati in tanti a parlare, ridere, scambiare due chiacchiere. A scoprire ancora una volta quanto è bello stare insieme. Tutto questo sotto l’occhio vigile dell’onnipresente Don Gianfranco.
Arrivederci all’anno prossimo!
Magda
Sabato mattina
La Messa con la benedizione degli animali
Sabato 8 Giugno 2024 alle ore 11:00 presso il campetto adiacente la parrocchia bambino Gesù, gli scout di Roma66 hanno allestito un splendida location dove il nostro parroco Don Gianfranco ha organizzato una messa per benedire i nostri amici animali. La celebrazione della messa è stato un bellissimo momento di condivisione, durante la celebrazione Don Gianfranco ha ricordato l’importanza che hanno i nostri amici animali durante la nostra vita, aiutandoci a superare anche momenti di difficoltà e di sconforto. Ma non bisogna mai dimenticare che l’animale non si potrà mai sostituire all’uomo e anche se i momenti difficili si ripropongono nel corso della vita i nostri amici animali ci possono capire e supportare a modo loro ma lo stare insieme tra essere umani è altrettanto importante.
Elisa
1° Giugno 2024
Una processione insolita: la pioggia e l'Amore di Dio si incontrano
Ieri, la nostra amata comunità parrocchiale si è trovata di fronte a una sfida imprevista durante la celebrazione del Corpus Domini. La mattinata, segnata da una pioggia incessante e capricciosa, ha costretto i fedeli a ripensare la tradizionale processione nelle vie del quartiere. Tuttavia, ciò che potrebbe sembrare una difficoltà insormontabile si è rivelata un’occasione unica per vivere la fede in modo diverso, ma altrettanto intenso.
Si mormora che il nostro carismatico parroco, Don Gianfranco, noto per il suo spirito pratico e un pizzico di ironia, abbia esclamato prima dell’avvio della processione: “Gesù, o fai piovere sul serio o niente, non accetto mezze misure perché poi non so che fare!”. Questa frase, che strappa un sorriso, riassume perfettamente il sentimento dell’esperienza: un misto di sfida e accettazione serena della volontà divina.
Infatti, nonostante la pioggia, la cerimonia si è comunque svolta! Anche se in modo molto “alla buona”, con un’atmosfera familiare e raccolta, la processione si è snodata all’interno della chiesa e sotto i portici adiacenti, creando un senso di maggiore intimità e condivisione. Personalmente questa particolarità mi ha fatto sentire di più il calore della collettività: giovani e meno giovani stretti sotto ombrelli e mantelline, hanno seguito con devozione la processione ed intonato i canti guidati dalla voce solenne del Don. E mentre i bimbi presenti saltavano delle pozzanghere con i loro stivaletti di gomma, guardavo con piacere i genitori che, invece di rimproverarli sorridevano e continuavano a cantare!
Forse la Bellezza e L’ Amore di Dio è anche questo! La pioggia, con il suo ritmo costante, che accompagna i canti e le preghiere, diventa la voce del nostro Signore che ci guida e si fa sentire ancora più vicina a noi. È bello pensare che Gesù ieri abbia deciso di venire più vicino a noi, proprio lì, sotto quei portici della nostra Chiesa.
Matteo
E cominciamo dalla notte dal 31 maggio al 1° giugno...
Una notte particolare. Una volta l’anno succede. Esposizione del Santissimo per 24 ore nella nostra Chiesa. Ci sono fogli vicino all’entrata già da tanti giorni, ci si può prenotare; una casella per ogni ora del giorno e della notte e Don Gianfranco continua a dire che venire a pregare nelle ore notturne è cosa più gradita al Signore…. ci si dovrebbe prenotare, ma io non so quando potrò e così non mi prenoto. Babysitteraggio serale, poi esco. Una Chiesa davvero diversa da quella che viviamo di consueto. Complimenti allo scenografo, che penso di conoscere… la rampa piena di fiaccole e questo me lo aspettavo. Poi l’altare: un grande ostensorio, un’orchidea rosa, un portacandele multiplo e davanti un portaincenso che diffonde un leggero profumo. Silenzio, tanto silenzio, non siamo abituati a questo silenzio in chiesa, sembra di stare in un monastero, ogni tanto si percepisce un fruscio, una persona che si alza, che entra, che esce, addirittura lo scricchiolio di un ginocchio che si piega…. Penso a un canto mariano di cento anni fa… “Vorrei essere un fiore dell’altar… vorrei essere fiamma … vorrei essere incenso…”. Sono venuta a pregare. Tento di pregare, ma con un silenzio così totale si cerca di essere tutt’uno con il silenzio guardando questo altare così essenziale. Forse è preghiera anche questa.
Il giorno dopo sono di nuovo in chiesa: Sabato sera, Messa prefestiva e chiusura di queste 24 ore di esposizione del Santissimo. La scenografia è la stessa, ma la Chiesa è la nostra Chiesa… mi viene da sorridere, perchè riconosco la mia Chiesa. Mi inginocchio al posto di stanotte, ma da una parte si sentono i rumorosi applausi che vengono dal campetto di calcio dove sono in atto le premiazioni dei bambini che fanno parte delle squadre parrocchiali; a sinistra ho un cagnolino che ogni tanto guaisce e che fa ampie passeggiate nel presbiterio sgusciando da sotto i banchi; dietro a me trilla un telefonino… la chierichetta non riesce ad accendere le candele… il vaso dell’orchidea passa di mano in mano e nessuno sa dove metterlo… una signora continua a chiedere a che ora inizia la Messa. Penso che è proprio così che dev’essere una chiesa. Per carità siamo pure capaci di stare zitti, di pregare, di cantare e di farci assorbire dalla bellezza delle cose alle quali partecipiamo con un cuore pieno di gioia, ma siamo anche popolo di Dio, un po’ confusionario. Mi va bene così!